Oceano Atlantico

Come una freccia spuntata il lucente Boeing 737 sfrecciava a ventisettemila piedi, con i turboventilatori che borbottavano pacificamente spinti alla metà della loro potenza. Era stato progettato per essere un aereo di linea per grandi distanze che potesse trasportare oltre cento persone, ma il velivolo trasportava un solo passeggero, immerso in un lusso decadente che non usava più dai tempi dei Rajà britannici.

Max Johnston stava stravaccato in una delle poltrone di pelle del salone principale ricavato nella cabina. Dietro di lui, una cucina in grado di preparare menu a cinque stelle, una sala conferenze con un tavolo di mogano africano e una camera da letto privata con un antico letto a baldacchino fissato al pavimento. C’era anche un comò in stile regency, di almeno cento anni più vecchio del velivolo, e uno specchio con il rivestimento posteriore così rovinato dal tempo che le immagini che vi si riflettevano sembravano vecchie foto. Una morbida moquette marrone rivestiva il pavimento di tutto l’aereo e metteva in risalto il raffinato rivestimento alle pareti e i richiami al gusto orientale che mascheravano in parte la logica funzionale dell’ambiente.

L’aereo era ufficialmente una proprietà della Petromax Oil ed era a disposizione dei dirigenti dell’azienda. Tuttavia era sottinteso che in realtà era l’aereo privato di Max Johnston, e nei due anni trascorsi da quando l’azienda lo aveva comprato, lui era l’unico ad averlo utilizzato.

Lo Scotch nel bicchiere che teneva con la mano flaccida era talmente diluito dal ghiaccio che sembrava urina, e quando ne bevve un lungo sorso sentì un sapore osceno. Aveva appallottolato il cappotto sul sedile accanto a lui, stropicciato al punto che probabilmente al suo ritorno a Washington un valletto glielo avrebbe sostituito con un altro. La camicia era impregnata di liquore e la sua lotta maldestra per togliersi la cravatta l’aveva stretta ancora di più appena sotto la gola. Aveva la pelle cerulea e pallida, con chiazze scure sotto gli occhi che mettevano in evidenza le occhiaie causate dalle ultime notti insonni. Sembrava un impiccato appena tirato giù dalla forca.

Johnston si tirò su dalla poltrona e versò il drink nel lavandino incassato nel mobile bar. Ignorando il secchiello del ghiaccio si versò dello whisky di malto di ventiquattro anni e lo trangugiò come se fosse stato tè freddo. Era al quarto drink in due ore, da quando era decollato da Gatwick. Era completamente sbronzo, con le gambe così traballanti che doveva appoggiarsi alla console del televisore, ma la sensazione di disprezzo e disgusto per se stesso non accennava ad andarsene. Al contrario, aumentava, gli mordeva la carne e gli carpiva l’anima.

Si lasciò cadere sulla sedia, con il mento appoggiato sul petto in un atteggiamento di totale e disperata sconfitta. Quella sera era la vigilia del colpo grosso. Con alcune mosse spudorate stava per lanciare la Petromax Oil nell’inarrivabile regno delle super-corporazioni, in compagnia della General Motors, della Exxon o dell’IBM, facendola diventare un’azienda il cui nome e il cui potere avrebbero raggiunto una fama mondiale. Assumendosi dei rischi molto più pesanti di quelli della normale pratica degli affari, Johnston aveva venduto l’anima pur di arrampicarsi sugli ultimi gradini della scala del successo. Quando aveva lasciato Londra si era sentito come uno dei principi mercanti del Rinascimento, che conducevano trattative che coinvolgevano tutto il paese e non solo i cordoni della sua borsa.

Ma in quel momento, poche ore dopo aver siglato il suo patto, era ubriaco e depresso. La depressione era sopraggiunta appena l’aereo aveva lasciato l’Inghilterra, ma già quando si trovava nella limousine che sfrecciava verso l’aeroporto aveva sentito quella voce che lo rimproverava. Quella voce.

La voce di suo padre.

La mano spettrale di suo padre gli sfiorò la spalla e Max Johston sobbalzò, rovesciando il liquore sul tappeto di seta egiziana sotto la poltrona. Il gesto che aveva immaginato, come era capitato tante volte, aveva ridestato in lui un’ondata di emozioni, ma come tutte le altre volte in cui aveva sentito la presenza inquietante di suo padre, i pensieri e i sentimenti si erano dissolti rapidamente, distillandosi in un unico ricordo cristallino e amaro. Qualsiasi cosa facesse, qualsiasi successo ottenesse, non sarebbe mai riuscito a cancellare né quello che gli era capitato quando aveva sedici anni né gli umilianti commenti che erano seguiti.

Il giovane Johnston aveva aiutato un amico a copiare in un esame passandogli le risposte. Naturalmente entrambi erano stati colti sul fatto e sospesi. Quella sera, aspettando nello studio della grande villa che era diventata la loro casa dopo che Keith Johnston, un infaticabile esploratore di siti petroliferi, ce l’aveva fatta, il giovane Max tremava di paura. Keith Johnston aveva fatto fortuna lavorando sodo, con determinazione e una buona dose di fortuna, scoprendo due giacimenti nel giro di sei mesi e lanciando la Petromax Oil, l’azienda che portava il nome del suo unico figlio. Max immaginò la delusione di quell’uomo che per lui era come un dio, e provò una vergogna insopportabile. Suo padre era in ritardo di un’ora quella sera e Max lo aspettò come un soldato che affronta la morte, pronto ad accettare qualsiasi conseguenza il destino avesse in serbo per lui.

Keith Johnston quella sera entrò nel suo studio con addosso un vestito impolverato, perché nonostante il successo continuava a occuparsi del lavoro sul campo. Gli piaceva visitare le stazioni di pompaggio, le macchine e gli uomini che facevano sgorgare il petrolio dalla terra del Texas. Sua moglie lo aveva informato della sospensione di Max e la cosa lo aveva messo di pessimo umore. Max, un ragazzo robusto per la sua età, sembrava rimpicciolito.

“Imbrogliare!” aveva strillato il vecchio Johnston. “Non c’è niente di peggio di qualcuno che imbroglia tranne chi imbroglia per fare gli interessi di qualcun altro, tranne chi è così debole che permette agli altri di derubarlo. Ascoltami bene, ragazzo, perché quello che sto per dirti te lo dirò una volta soltanto. Ho costruito questa azienda per te. Ho mentito, ho imbrogliato e ho rubato per creare tutto questo per te, affinché tu potessi seguire le mie orme. E adesso scopro che la ragione per la quale ho lavorato tutta la vita è solo un lacchè debole e impotente che dà via per niente quello che si è guadagnato. Se tu avessi imbrogliato per ottenere un voto più alto avrei capito, ma tu sapevi le risposte dell’esame e le hai passate a qualcuno affinché potesse prendere un voto alto come il tuo. Sei una disgrazia, sei la vittima di chiunque voglia farsi avanti. Non riesco a credere che tu sia mio figlio. Siamo venuti dal niente, e tu vedi di non farci tornare al niente altrimenti, che Dio mi perdoni, ti ucciderò con le mie mani.” L’odio nella voce dell’anziano padre fu il suono più tremendo che Max avrebbe mai udito in tutta la sua vita. “Mi fai schifo.”

E quella fu l’ultima volta che si parlarono. Keith Johnston non presenziò alla consegna del diploma di liceo di suo figlio né alla cerimonia di laurea alla A&M University, in Texas, quando Max tenne il discorso di commiato. Non andò al matrimonio di Max, né gli fece le congratulazioni quando, dopo che lui era andato in pensione, Max diventò direttore generale dell’azienda che portava il suo stesso nome. Quando, sotto la guida di Max, la Petromax raggiunse il miliardo di dollari di patrimonio, l’uomo era ormai anziano, ciononostante non disse una parola. Le ultime frasi del testamento di Keith Johnston, lette da un imbarazzatissimo legale di famiglia, ferirono Max così profondamente che licenziò immediatamente quel professionista che per molti anni era stato anche un amico.

“Il fatto che io sia morto non significa che io possa perdonarti o dimenticare chi sei veramente. Nessuno dei tuoi successi potrà mai cancellare il fatto che sei un debole. Un giorno questo distruggerà te e l’azienda che hai ricevuto senza averla mai meritata.”

Quell’amarezza continuava a bruciare nella gola di Max Johnston. Cercava di lavare via quella sensazione con lo Scotch, ma il sollievo era solo momentaneo, perché appena l’alcool gli esplodeva nello stomaco, la mascella gli si irrigidiva e la saliva acida gli riempiva la bocca.

“Mi rispetterai, prima o poi” disse Max tra sé, in un appello che chiedeva l’accettazione di un uomo che non avrebbe mai più potuto concedergliela.

Gli accademici non erano molto simpatici a suo padre, che aveva lui stesso abbandonato gli studi per andare a lavorare a soli dodici anni. Essere il migliore della sua classe al liceo e all’università non gli era valsa l’approvazione che tanto aveva agognato: avrebbe dovuto sapere che quel genere di onori non significavano nulla per suo padre. Max si rendeva conto che suo padre era stato spinto dal desiderio di ricchezza, non di conoscenza.

Trasformare la Petromax in un’azienda globalizzata, miliardaria, con interessi in tutto il mondo avrebbe fatto centro su suo padre, riconquistandogli l’amore di cui aveva così bisogno. Un bilancio da mezzo miliardo di dollari avrebbe certamente attirato la sua attenzione. E quando quel rispetto non arrivò, Max trasformò l’azienda in un colosso da un miliardo, e poi due.

Quando neppure quello raggiunse lo scopo, Max si interrogò su che cosa rappresentasse tutto quel denaro. Qual era il fine di tutta quella ricchezza? Gli ci vollero anni per vedere ciò che aveva visto suo padre, per capire che accumulare ricchezze non significava niente. Era il potere che ne conseguiva la vera ragione dell’esistenza del denaro. Ed era il potere che il vecchio agognava e rispettava.

Quando Max ricevette il suo primo invito alla Casa Bianca, Keith Johnston era un vecchio bavoso che se la faceva addosso, e quando Max finanziò la sua prima campagna di successo, comprandosi un membro del Congresso alla modica cifra di otto milioni di dollari, il vecchio Keith era morto da sei anni. E anche se suo padre era morto, Max perseguiva ostinatamente tutte le cose che sperava lo avrebbero impressionato, e che a lui avrebbero portato la credibilità e il carattere che secondo suo padre non possedeva. Adesso il Presidente degli Stati Uniti si consultava tutti i giorni con Max sulle questioni del Medio Oriente e sulle politiche energetiche, ciononostante lui era convinto che il suo vecchio non ne fosse minimamente colpito.

Il potere. La capacità di controllare impunemente le vita degli altri.

Max Johnston era sul punto di acquisire più potere di quanto ne avesse avuto chiunque altro dai tempi di Stalin e di Hitler. Non erano gli allori scolastici conquistati studiando fino a tarda notte. Non erano le montagne di denaro guadagnato con scaltre operazioni finanziare. E non era neanche il corteggiamento dei politici più interessati alla ri-elezione che ad assumersi le responsabilità affidate loro dal Paese. Era quello che Keith Johnston aveva sempre voluto, l’accumulo di un potere tale da attirare l’attenzione di tutto il mondo. Adesso era giunto il momento in cui Max si sarebbe finalmente riconquistato il rispetto di suo padre. Tutta la sua vita era stata una preparazione di quel momento, e per quel momento aveva imparato e aveva speso una fortuna, con il solo fine di ottenere quell’ultimo premio, quello per cui suo padre avrebbe ricominciato a volergli bene.

Quello che si sarebbe lasciato dietro nella scia di ciò che stava per fare non aveva importanza. Le morti non significavano nulla, non importava quante né quali. Per causa sua sarebbero scoppiate delle guerre e sarebbero andate distrutte delle nazioni, forse persino la sua, ma quando quel momento fosse arrivato, il momento in cui suo padre finalmente lo avrebbe rispettato e in cui quella voce, in quella notte, si sarebbe finalmente acquietata, tutto avrebbe avuto un senso.

Johnston odiava ciò che era diventato, odiava tutto di sé, dal raffinato uomo di mondo che mostrava in società, al sedicenne umiliato che continuava a vivere in lui. Era diventato l’uomo intrattabile, freddo e pieno di un odio che aveva dominato tutta la sua vita. In quella sua ricerca aveva infranto i codici dell’etica, schivato gli ideali morali e ignorato le leggi internazionali, e non c’era niente che non avrebbe fatto. Nessun confine era così lontano da non poter essere attraversato. Niente altro importava.

Si rese conto di aver vuotato il bicchiere, si alzò e lo riempì di nuovo, rifuggendo il riflesso di sé che intravide nello specchio dietro al bar. Quando alla fine si guardò, fissando i suoi occhi congestionati dalla tensione, vide solo lucidità senza ombre e ostinata determinatezza.

L’occasione per mettere finalmente a tacere i suoi demoni privati stava per modificare l’aspetto del pianeta, lasciando rifiuti su migliaia di chilometri quadrati di terra e causando la morte di migliaia e migliaia di persone. Fissando il suo riflesso, sentì che il prezzo non era poi così alto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, avrebbe raggiunto qualsiasi obiettivo e rimosso qualsiasi ostacolo per riconquistarsi finalmente l’amore di un mostro morto da molto tempo.

Sapendo che sua figlia era in Alaska, involontariamente coinvolta nel bel mezzo della sua crociata personale, Johnston pensò che persino la sua morte sarebbe stata priva di significato, purché suo padre lo lasciasse finalmente in pace.